Selenya: l'Ombra di Alfhild - Capitolo 9 - Verso la Città Imperiale

Nel laboratorio di Hothco era calato il silenzio. Il Maestro era visibilmente in preda al panico, mentre il Sacerdote cercava di mantenere il controllo e pensare cosa avessero potuto significare quelle parole sparse sulla pergamena. Una cosa, soprattutto, non tornava nei suoi ragionamenti: perché quella specie di inchiostro aveva formato quelle scritte? Da dove proveniva? Chi aveva messo quel liquido magico all’interno dell’ampolla?

“Chi è malvagio? I pensieri di chi sono scomparsi?” Freyja fu la prima ad interrompere quel silenzio assordante e fastidioso.

“Ccco-sa faa-faa-remo ora?!” chiese agitato Hothco che, nel frattempo, aveva sputato le erbe e aveva ripreso a balbettare. Continuava a tirarsi la barba nervosamente e iniziò a grattarsi la testa freneticamente.

“Per favore, un attimo di silenzio! E tu, Saggio dei miei stivali, smettila di grattarti che sembri una scimmia piena di pulci!” sentenziò Kuhgla. “Ora dobbiamo riflettere. Non pensavo di venire qui e trovare altre domande, ma di trovare finalmente delle risposte. Non so perché quell’ampolla contenesse quell’inchiostro che è visibilmente magico e nemmeno cosa possano significare quelle parole. Di sicuro, mancano dei pezzi.” finì il Sacerdote.

“Chi potrebbe averli? Gli altri Maestri? Gli altri Regni?” chiese Freyja preoccupata.

“Nnnno. Sso-lo io ho il laab-oratorio.”

“Ok, quindi gli altri Maestri li escludiamo subito. Perfetto, dobbiamo capire se anche gli altri Regni sono a conoscenza di questa ampolla e del suo inchiostro magico. Come prima cosa, cara, arrotola la pergamena e riponila dentro alla tua sacca.”

La ragazza, che aveva ancora la boccetta di vetro in mano, l’adagiò sul tavolo e, prendendo la pergamena in mano e sfiorandola alla boccetta, notò che tutto l’inchiostro si riversò nuovamente all’interno della fiala.

“Che diavolo succede?!” disse sobbalzando alla vista della scomparsa delle parole.

“Credo che sia una sorta di protezione. Questo è un altro motivo per cui credo sia importante quell’intruglio magico. Chiudi il tappo e riponilo nella sacca. Ed ora...” Kuhgla non finì la frase, aprì la sua sacca, estrasse la daga divina dal suo interno e la porse a Freyja.

“Cara, per capire qualcosa di più su questa situazione, dobbiamo muoverci su due fronti: io tornerò a castello, da Alfred. Voglio sapere se ci sono novità riguardo a Cathrine e cercare negli archivi ufficiali di corte se c’è traccia di una “boccetta dall’inchiostro magico”. Tu, invece, dovresti partire. Voglio che tu vada alla città imperiale e che porti questa con te. Usala solo in caso di estremo pericolo, sai che ha un certo potere su di te. E, Freyja, miraccomando...”

“Kuhgla non voglio lasciarti qui… Vieni con me!”

“Se fosse possibile, sai che verrei…”

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La ragazza era pronta a partire: nella fondina aveva la daga della Dea Kaja, nella sacca sulle spalle, ben nascosta, la boccetta magica e qualche pietanza regalatale per il viaggio dai suoi genitori. Hothco era silenzioso e osservò i due salutarsi in un tenero abbraccio.

“Starò attenta Kuhgla, te lo prometto. Quando arriverò ti manderò una lettera al castello. Non so cosa succederà quindi voglio dirtelo adesso: grazie, mi hai cresciuta come una figlia e ti sono debitrice. Ti voglio bene, vecchietto dei miei stivali.”

“Anche io cara, ora vai!”
Kuhgla avrebbe voluto dirle tante cose: di stare attenta ai pericoli, di riuscire a governare i suoi stati d’animo altrimenti si sarebbero ripercossi sulla sua magia, ma, soprattutto, avrebbe voluto dirle quanto era fiero di lei. In quel momento una nuova sensazione si fece strada dentro al Sacerdote ed era quella della paura. Era preoccupato a tal punto che avrebbe voluto fermarla, prenderla per mano e riportarla a casa con sé, proprio come quando era una piccola bambina che adorava giocare sul bordo degli strapiombi delle montagne della Baronia di Neve. Le voleva bene, l’aveva cresciuta. E nonostante lui fosse un vecchio centenario, in quell’istante capì che Freyja, per lui, non era solo un’allieva, ma una figlia, una di famiglia, che andava custodita e protetta a tutti i costi.

La ragazza sapeva che avrebbe dovuto intraprendere un viaggio lungo e faticoso. Era così determinata a trovare una soluzione che l’idea di potersi imbattere in qualche pericolo lungo la strada, non la preoccupava per niente. Era tesa, sì, ma solo perché non sapeva cosa aspettarsi una volta arrivata alla città imperiale e, soprattutto, sarebbe stata la prima volta che vi avrebbe messo piede. Questa volta, aveva deciso di seguire il corso del fiume perché ricordava che Kuhgla le aveva detto che seguendolo sarebbe arrivata al confine con la città. Il sole iniziava ad illuminare le colline dei Forestieri, erano passate diverse ore dalla partenza e probabilmente Freyja si trovava ormai all’altezza della cittadina di Vaije. Inevitabilmente i suoi pensieri si focalizzarono sui suoi genitori, avrebbe tanto voluto avvertirli che non sarebbe riuscita a tornare così presto; pensava a quanto avevano dovuto soffrire negli anni, sapendo di avere una figlia non troppo distante e non poterla vedere. Poi, però, per un attimo, le tornarono in mente l’osteria e Joel. Se solo avesse potuto portarlo con lei in questo viaggio, gli avrebbe raccontato tutto quello che in quel preciso momento le stava passando per la testa. Decise che era giunto il momento di fermarsi. Aveva bisogno di riprendere le forze, di bere dell’acqua, di rinfrescarsi il viso e, soprattutto, di calmarsi. Non poteva farsi prendere dal panico proprio ora, doveva restare lucida e obbedire agli ordini di Kuhgla. Sulla riva del fiume, addocchiò un albero e decise di fermarsi lì: i piedi le facevano male, la fondina della Daga, con il peso, le irritava continuamente i fianchi; aveva una fame incredibile e sete. Tirò fuori dalla sacca un pezzo di pane e iniziò a mangiarlo avidamente. Poi si avvicinò all’acqua, ci immerse le mani e si sciacquò il viso. Tornò all’albero, vi si appoggiò con la schiena e restò qualche minuto con la boccetta di vetro in mano.

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Non era stato semplice seguire segretamente il Sacerdote e Freyja verso casa di Hothco. Non era stato affatto facile nascondersi sotto la finestra di quella casa e cercare di origliare i loro discorsi. Il fatto che improvvisamente fossero spariti nel nulla gli aveva dato modo, però, di ficcanasare in casa del vecchio Saggio ma, neppure lì, aveva trovato qualcosa di significativo. Per questo decise di uscire nuovamente ed aspettare che tornassero. Aveva visto Freyja partire da sola, nel cuore della notte, e il suo istinto, oltre che dovere, gli aveva detto di seguirla. Era stato ben attento a non farsi sentire, a non inciampare in nessun sasso sulla riva del fiume. Anche ora era lì, a debita distanza, che la osservava, nascosto dietro gli arbusti selvaggi del fiume. Di sicuro dentro alla fondina, la ragazza portava la Daga Divina, non poteva essere altrimenti; quello che non riusciva a comprendere era cosa tenesse ora tra le mani. Era troppo lontano per identificare quell’oggetto ma, dallo sguardo di Freyja, capiva che era una cosa che la preoccupava molto. Probabilmente aveva fatto bene a seguirla, anzi, ne era certo. D’un tratto, la vide alzarsi, riporre l’oggetto dentro alla sua sacca e ripartire. Anche lui decise di riprendere a camminare.

Dopo aver attraversato colline, arbusti, piccoli villaggi sperduti con dimore diroccate, Freyja era arrivata finalmente al confine. Il corso del fiume si era ridotto ad un misero rigagnolo d’acqua e lì, sapeva di essere entrata ufficialmente nel territorio della Città Imperiale. Il bagliore viola della luna iniziava a farsi strada nel cielo e riflettere sul paesaggio che la circondava. Fu proprio in quel momento che notò le gigantesche mura fortificate del castello, sulla collina di fronte a lei. Era emozionata, non aveva mai visto nulla di così magnificamente enorme e bello. Aveva percorso tutta quella strada da sola e, per di più, era ancora tutta intera. Ora doveva solo cercare un posto in cui dormire e, l’indomani, recarsi a corte a chiedere di poter esser ricevuta per spiegare della boccetta. Iniziò a risalire la collina e, una volta arrivata alle mura, entrò all’interno dei piccoli quartieri. Anche se era ora di cena, quel posto brulicava di persone. Non era affatto come i piccoli posti che aveva visto fino ad ora. Le persone camminavano, chiacchieravano, c’era chi correva, chi passeggiava con un fiasco di vino in mano… Improvvisamente la stanchezza iniziò a farsi sentire: effettivamente erano giorni che camminava, prima verso Vaije, poi da Hothco ed infine verso la Città Imperiale. Era veramente stremata. Tutta la stanchezza e l’adrenalina accumulate nei giorni precedenti, non le diedero modo di cercare ospitalità. Decise, così, di scegliere una via poco trafficata e buia e di sedersi lì, contro il muro. Chiuse gli occhi, ce l’aveva fatta. Era arrivata. Il suo volto abbozzò un sorriso e, dopo qualche secondo, Freyja si addormentò così, stremata, abbracciando la sua sacca.


Per lui non era una novità recarsi alla Città Imperiale e pensava che addormentarsi così, una donna sola, in vicolo buio, non era stata una buona mossa per la ragazza. Avrebbe dovuto aspettare qualche ora, giusto il tempo che Freyja si addormentasse profondamente, per ficcanasare furtivamente dentro alla sua sacca. Sì, avrebbe dovuto. Ma quello che fece fu entrare in un’osteria, prendere un fiasco di vino e uscire al chiaro di luna ad osservarla.

Selenya: Le sei Ombre della Luna


Le Sei ombre della Luna - immagine di @armandosodano

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