Criminal: una sperimentazione che prende ancora più forma nella seconda stagione - part 1/2

Lo scorso anno Netflix si è lanciata in un esperimento passato in sordina ma di grande interesse.

La novità consisteva nel realizzare 4 serie tv differenti ma collegate dallo stesso format. La peculiarità era che ognuna delle serie, pur venendo realizzate in 4 paesi europei distinti, condivideva la stessa struttura e la stessa identica impostazione.

Ogni episodio veniva girato interamente all'interno di una stazione di polizia, in particolare nella stanza interrogatori di quello specifico dipartimento. Le location geografiche distinte (UK, Francia, Spagna e Germania) consetivano alla produzione di narrare specifiche situazioni ma calate in contesti differenti.

L'altra tipicità che accompagnava e accompagna tuttora Criminal è la staticità del racconto.

Tutto si articola all'interno di quella sala, con rari spostamenti della macchina da presa nei corridoi o nella stanza antistante alla sala interrogatori.

Una narrazione che nasce e muore all'interno di quelle pareti, senza mai muoversi negli spazi esterni, senza mostraci scene del crimine, senza flashback o flashforward. Semplice, semplicissimo ma complessissimo da gestire.
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Provate ad immaginare di dover elaborare una storia di 50 minuti senza poter contare su spazi esterni, location multiple, dinamismo dell'azione. Vi trovereste a fare i conti con la necessità di dover basare tutto su 4 aspetti:

  • Dialoghi
  • Inquadrature
  • Storia
  • Recitazione

Far crollare uno di questi 4 pilastri vorrebbe dire depotenziare tutta la serie, far crollare l'interesse dello spettatore e fallire miseramente.

Criminal, per fortuna, riesce perfettamente a calibrare queste 4 componenti, restituendoci una serie tv tesa e miracolosamente viva e soprattutto capace di aprirci gli occhi su un mondo sempre più complicato.

Criminal è unica anche e soprattutto per un altro fattore.

La serie riesce a farci dimenticare tutto quello che avevamo imparato sulle serie crime, fatte di indagini, retroscena, supposizioni, prove, stampa, luminol, impronte digitali e cosi via.

In Criminal noi spettatori siamo trattati alla stessa stregua di chi in quel momento è seduto nella metà più scomoda del tavolo: l'indagato.

Forse non abbiamo mai riflettutto su cosa voglia significare essere arrestati. Nel nostro immaginario collettivo una persona arrestata è una persona colpevole e come tale è a conoscenza della verità inconffessabile dietro il crimine che avrebbe commesso.

Ammesso che ogni arrestato è anche colpevole quello che resta immutabile è la totale mancanza di controllo che lui o lei hanno nel momento in cui si trovano faccia a faccia con i propri accusatori in una stanza interrogatori.

Le domande che verranno poste, i trabocchetti a cui saranno sottoposti, le prove che saranno loro mostrate. Tutto è chiuso in una scatola nera che l'interrogato aprirà solo e soltanto se e quando sarà l'interrogante a deciderlo.

Lo spettatore, in Criminal, è chiamato a vivere lo stesso brivido, la stessa incertezza, lo stesso spaesamento.

A differenza dei tanti procedural crime che abbiamo ingurgitato nelle ultime decadi, da CSI ad NCIS passando per Criminal Minds, nella serie Netflix non siamo a conoscenza di nulla.

Nelle serie crime classiche lo spettatore arrivava al colpevole, o comunque alla conclusione dell'indagine, alla fine dell'episodio o del ciclo di episodi, accompagnato dalle indagini faticosamente portate avanti dai Grissom o dai Morgan o dai Gibbs della situazione.

In Criminal arriviamo all'atto conclusivo completamente sprovvisti di informazioni, completamente privi di qualsiasi barriera protettiva.

L'accusato è li, pronto a crollare o a depistare, a smentire o confermare le accuse che la squadra ha certosinamente formulato a monte di quanto noi vediamo realizzarsi sullo schermo.

Nella sua semplicità è una maniera rivoluzionaria di costruire una serie crime.

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